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L’articolo che pubblichiamo è stato scritto prima dell’attacco da parte dell’Esercito Siriano Libero alla città di Aleppo, che ha provocato 28 morti e 200 feriti. All’attacco alla città di Aleppo è dedicato l’articolo che segue di Matteo Bernabei Il Libero esercito siriano tentenna sugli attentati, prima li rivendica poi smentisce e infine ammette di aver attaccato la città. E’ ormai chiaro anche agli stolti che lo Stato Siriano è stato aggredito da milizie islamiste, foraggiate da alcuni stati occidentali, oltre che dalle monarchie petrolifere, e coperte dalla Turchia. Il veto al consiglio di sicurezza dell’ONU non ha scoraggiato gli islamisti. Gli aggressori islamonazisti (dove la parte dei nazisti la recitano alcuni stati occidentali) continuano ad agire secondo i loro piani, come se il veto non ci fosse stato. E la CGIL, l’ARCI e la Rete della conoscenza manifestano contro la repressione di Assad, accogliendo l’invito del Consiglio Nazionale Siriano! Militanti della sinistra, è giunto il momento di abbandonare le vostre organizzazioni e schierarvi contro di esse! O se davvero volete stare dalla parte dei nazisti imperialisti, almeno sostenete palesemente le vostre idee criminali (SD’A)

 Libreidee

Stanno macellando la Siria, a cannonate: non i presunti “boia” del regime di Assad, ma i brutali miliziani armati dall’Occidente. «Sono loro che ci terrorizzano», dichiara un testimone in una drammatica intervista realizzata a Homs dalla prestigiosa giornalista indipendente Silvia Cattori: «Ci minacciano se solo mettiamo il naso fuori di casa, siamo noi a chiamare l’esercito in nostro aiuto». E la versione dei media, che propongono una rivolta popolare contro l’oppressione della dittatura? Un diluvio di menzogne, senza uno straccio di prova. Per questo, Russia e Cina hanno posto il veto all’Onu contro una risoluzione anti-Assad. Ma c’è di peggio: oltre alla “legione libica” proveniente da Bengasi, in Siria – contro l’esercito di Damasco – sarebbero in azione reparti scelti del Qatar e addirittura forze speciali inglesi.

«Truppe speciali di Londra – insieme a quelle dell’onnipresente Qatar – starebbero già combattendo ad Homs contro l’esercito siriano», scrive Marco Santopadre su “Contropiano”. A rendere noto ciò che tutti i più attenti analisti sapevano da mesi è stata l’8 febbraio la Cnn: «Gli Stati Uniti – scrive “NenaNews” – avevano parlato di invio di aiuti umanitari alla popolazione siriana e invece fanno sapere di “aver preso in esame” l’ipotesi di un intervento militare contro la Siria», escluso fino a ieri. Lo hanno detto a Barbara Starr, corrispondente della Cnn al Pentagono, due alti funzionari dell’amministrazione Obama, confermando l’irritazione della Casa Bianca nei confronti del veto opposto dalla Cina e dalla Russia la scorsa settimana alla risoluzione dell’Onu contro Damasco.

Washington in ogni caso non tiene in alcun conto l’esito dell’incontro dell’8 febbraio a Damasco tra il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov e Bashar Assad, al termine del quale il presidente siriano ha affermato che «coopererà con qualunque sforzo per risolvere la crisi». Lavrov, accolto a Damasco da decine di migliaia di siriani, ha affermato che è stato recepito «il segnale» mandato da Mosca di «andare avanti in modo più attivo su tutte le linee». Il presidente siriano, ha aggiunto il ministro degli esteri russo, si è impegnato ad aprire un dialogo con tutte le forze politiche in campo e a scrivere in tempi brevi una nuova Costituzione da approvare con un referendum popolare, oltre ad accettare un’estensione e un ampliamento della missione della delegazione di osservatori della Lega Araba.

Assicurazioni che però non scuotono le monarchie del Golfo, storiche avversarie di Damasco, che hanno espulso i rappresentanti diplomatici siriani mentre Italia, Francia, Spagna, Olanda, Germania e Tunisia hanno allontanato diplomatici siriani o richiamato i propri ambasciatori “per consultazioni”. Per contro, le cancellerie dell’Unione Europea continuano a ribadire che nessun tipo di intervento militare contro la Siria è in discussione, neanche sotto forma di una “No Fly Zone”: l’Unione Europea non ha nulla da guadagnare nella destabilizzazione violenta e incontrollata di una regione che potrebbe deflagrare se le pressioni militari indirette finora adottate dall’Occidente e dalle petromonarchie arabe dovessero trasformarsi in guerra aperta. Inoltre, aggiunge sempre “Contropiano”, dopo il veto di Russia e Cina all’Onu e l’impegno diretto del governo di Mosca nel tentativo di mediazione tra Assad e le opposizioni, un sostegno europeo alla guerra potrebbe incrinare rapporti economici e commerciali vitali.

Eppure, le notizie di un possibile intervento sul campo di truppe straniere si moltiplicano. Il “Sole 24 Ore” rivela che secondo “Debka File”, il sito web israeliano di intelligence, «unità delle forze speciali di Gran Bretagna e Qatar si sono infiltrate a Homs e, pur non partecipando direttamente ai combattimenti, stanno fornendo assistenza tecnica e militare ai ribelli». La notizia è accreditata da altri servizi occidentali, anche se in casi come questi è arduo individuare il confine tra informazione e disinformazione. «E’ molto difficile districarsi fra le notizie provenienti dalla Siria», scrive “Megachip” in una nota: «C’è un forte “fumo di guerra” che proviene dall’Impero, che va a grandi tappe verso la guerra contro Damasco, mobilitando da mesi enormi risorse sui media, da “Al-Jazeera” (a lungo in mano a un asset della Cia) fino a Facebook e ad altre reti, da saturare di propaganda e manipolazioni».

Lo schema proposto è quello classico dello scontro fra tiranno e dimostranti pacifici, mentre quella siriana è una partita «in cui si confrontano strategie militari complesse, con molte armi in mano a milizie spietate, spalleggiate da chi non vuole vedere spiragli di dialogo e vuole il “regime change” costi quel che costi: soffia non solo un vento di guerra, ma un vento di guerra totale». E’ il contesto ad avvalorare i peggiori sospetti, aggiunge Marco Santopadre: com’è noto, la Turchia ospita ai suoi confini il Free Syrian Army (l’Esercito Siriano Libero) e a Iskenderun, nella provincia di Hatay, l’antica Antiochia, si è insediato da diversi mesi un comando multinazionale ristretto composto da ufficiali americani, inglesi, francesi, canadesi e arabi degli Emirati, del Qatar e dell’Arabia Saudita. Inoltre la provincia di Hatay, nel sud della Turchia, ospita una consistente comunità di origine siriana, eredità dei tempi dell’Impero Ottomano, e costituisce il retroterra migliore per un possibile intervento contro Damasco. Infatti il leader turco Erdogan preme per una “conferenza internazionale sulla Siria” per contendere a Mosca l’egemonia sulla regione.

Il livello di pericolosità della situazione è confermato da un servizio di Guido Olimpio sul “Corriere della Sera” il 10 febbraio: la stampa di Bengasi, racconta Olimpio, ha celebrato la missione in Siria da parte della “legione libica”, forse 600 uomini inviati a Damasco per contribuire a destabilizzare il regime di Assad. «Non stupisce – scrive il “Corriere” – che la missione di sostegno alla rivolta sia coordinata dall’ex qaedista Abdelhakim Belhaj, figura di spicco della nuova Libia, e dal suo vice Mahdi Al Harati», noto come agente della Cia “nonostante” la sua militanza nell’organizzazione di Osama Bin Laden. Harati è in Siria dalla fine di dicembre, scrive Olimpio, citando la testimonianza del reporter francese con il quale l’ex dirigente di Al Qaeda si muove nei villaggi al confine con la Turchia.

Di nuovo, aggiunge il “Corriere”, i libici mostrano di essere ben preparati per la guerra: visori notturni, telefoni satellitari Thuraya e molti kalashnikov. Fonti arabe sostengono che i “volontari” hanno raggiunto la Siria attraverso Cipro, il Libano, la base di Iskenderun in Turchia e forse anche la Giordania. «Nuclei che avrebbero l’appoggio di piccoli gruppi di forze speciali del Qatar, saudite e occidentali, in particolare britanniche», scrive Olimpio. I due paesi arabi, oltre ai consiglieri, ci mettono anche i soldi: «Denaro con il quale verrebbe acquistato materiale trasferito con aerei cargo proprio a Iskenderun», dove sarebbe stato installato un “ufficio avanzato” gestito da 007 incaricati di assistere i gruppi di disertori siriani. «I movimenti di combattenti “stranieri” non sono sfuggiti all’occhio attento dei russi», annota il “Corriere”: l’ex Kgb ha uomini ovunque, nella realtà siriana, e il 10 febbraio Mosca ha espresso il proprio allarme.

Lo avevano inutilmente annunciato, da subito, diversi osservatori indipendenti: attenzione, non è stato il regime di Assad ad aprire il fuoco sui dimostranti. I primi a sparare sono stati misteriosi “miliziani”, forse sauditi, che hanno ucciso agenti di polizia. Solo allora le forze di sicurezza hanno cominciato a rispondere al fuoco, fino all’attuale caos, vicino alla guerra civile. Ormai da mesi è in campo direttamente l’esercito, ma non è l’unico a ricorrere all’artiglieria: i “ribelli” sparano sui soldati con lanciagranate e mortai. Drammatica la testimonianza raccolta a Homs da Silvia Cattori e ripresa da “Clarissa”: a parlare, sotto le cannonate che scuotono il quartiere dove l’11 gennaio è stato ucciso dai “ribelli” il giornalista francese Gilles Jacquier, è un uomo terrorizzato: «Hanno armi pesanti, distruggono, uccidono, feriscono. Stanno bombardando, proprio ora. Sono loro, i gruppi islamisti armati, che fanno esplodere i palazzi, che minacciano le persone, ovunque, non solo nel nostro quartiere. Gli abitanti chiamano l’esercito in aiuto».

Sono gli oppositori armati che assediano, rapiscono, uccidono e torturano i bambini di cui poi vediamo le foto su “Al Jazeera”, continua il testimone: «Attribuiscono i loro crimini all’armata siriana. Le distruzioni, i morti, i feriti… la responsabilità è degli oppositori armati». L’uomo racconta come tutto è cominciato: «Sono entrati nei quartieri, si sono installati con il terrore; tengono la popolazione sotto minaccia, li obbligano a collaborare se vogliono protezione, li obbligano a chiudere i loro negozi, le scuole». Neppure lui sfugge al regime di terrore: «Non posso andare a lavorare, fuori ci sono continui bombardamenti. Ci ammazzano non appena mettiamo la testa fuori; la casa del mio vicino è stata distrutta».

Eppure, ribatte Silvia Cattori, i giornalisti dei media tradizionali parlano di manifestazioni pacifiche, una rivoluzione che promette democrazia. «No, non ci sono manifestazioni pacifiche da parte loro», risponde l’uomo di Homs: «Tutte le manifestazioni sono violente, sono incitamento alla violenza». Il siriano ringrazia la Russia e la Cina per il veto posto all’Onu: «Se anche loro lasciassero fare quello che vogliono agli altri paesi, ciò che è accaduto in Libia arriverebbe anche qui, ma molto peggio». Il testimone conclude la sua drammatica deposizione con un appello: «Vorrei dire ai giornalisti e ai responsabili politici che con le loro menzogne e le loro parzialità a favore degli oppositori armati che ci terrorizzano, distruggono lo spirito e soprattutto l’anima dei nostri giovani».

Il Libero esercito siriano tentenna sugli attentati, prima li rivendica poi smentisce e infine ammette di aver attaccato la città

 di Matteo Bernabei rinascita

Nella mattinata di ieri due attentati hanno colpito la sede delle sicurezza militare siriana e quella del distaccamento delle forze armate presso la città di Aleppo provocando, secondo i dati forniti dal ministero della Sanità di Damasco, 28 morti e oltre 200 feriti. Si tratta tuttavia di un bilancio ancora parziale, le autorità locali hanno fatto sapere che nel pomeriggio di ieri ambulanze e soccorsi erano ancora all’opera nelle aree colpite per tentare di recuperare i copri delle vittime e quelli dei superstiti da sotto le macerie.
Dall’inizio della crisi questo è il primo attacco compiuto contro la città più popolosa della Siria, che nei mesi scorsi era stata soltanto sfiorata dagli scontri tra l’esercito e le milizie illegali presenti nel Paese arabo. Ad Aleppo infatti la popolazione è quasi interamente schierata con il presidente Bashar al Assad e il suo esecutivo, a favore dei quali si sono svolte in più occasioni oceaniche manifestazioni di sostegno. E potrebbe essere stato proprio questo a spingere i gruppi terroristici vicini all’opposizione a colpire ieri le due sedi delle forze di sicurezza: dare un segnale ai cittadini perché non si oppongano al cambio di governo che dissidenti, governi occidentali e monarchie del golfo si preparano a compiere. A far crescere i sospetti a riguardo ha contribuito inoltre lo strano atteggiamento del sedicente “Libero esercito siriano” – una milizia composta da pochi soldati disertori e molti mercenari stranieri che da mesi ormai compie attacchi contro obiettivi sensibili delle autorità di Damasco – che prima ha rivendicato l’attentato, poi lo ha smentito, per giungere infine a una via di mezzo decisamente poco credibile.
“Questa è una risposta al bombardamento del regime contro Homs”, aveva dichiarato inizialmente all’agenzia spagnola Efe il colonnello Riad al Asad, presunto comandante del Les, contraddetto però poco dopo dal portavoce della stessa organizzazione armata, che ha invece accusato il governo siriano. “Lo hanno fatto per distogliere l’attenzione da quello che stanno facendo ad Homs”, ha affermato il colonnello Maher Nouaimi ai microfoni della France Press.
La discutibile giustificazione finale è poi giunta attraverso un intervento del comandante al Asad all’emittente satellitare qatariota al Jazeera, nel quale spiega che “questa mattina abbiamo effettivamente attaccato Aleppo e le due basi militari che si trovano al suo interno, ma gli attentati sono avvenuti dopo il ritiro dei nostri uomini”. Uno squallido tentativo di scrollarsi di dosso la responsabilità della morte dei civili senza dare, al tempo stesso, una dimostrazione di debolezza ai propri sostenitori. Si tratta in ogni caso di affermazioni che non tolgono nulla alla gravità della situazione, anche qualora il cosiddetto “Libero esercito siriano” avesse davvero attaccato le basi prima degli attentati. Ed è gravissimo anche il silenzio dell’Occidente, delle organizzazioni umanitarie e dei Paesi del golfo, che tanto si sono spesi per la presunta repressione di Damasco e che, invece, continuano con il loro silenzio a legittimare gli attacchi di una milizia illegale che sta dando vita a una guerra civile nel Paese. E dovrebbero essere queste stesse entità a rispondere a tutti quei siriani che si chiedono sempre più insistentemente perché gli attentati contro la popolazione e le sedi governative in Iraq e Afghanistan vengono condannati, e definiti atti di terrorismo, e quelli compiuti in Siria invece no. Chissà, potrebbe essere perché i governi di Baghdad e Kabul sono stati scelti dagli Usa e dai loro alleati, ma si tratta solo di congetture.

 

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